di Serena Minervini
Queste sono solamente delle semplici riflessioni personali…
Un taccuino di una madre del sud Italia, un avvocato, come tanti,
con la passione per la ricerca accademica e la scrittura…Riflessioni preoccupate, che giungono spontanee,
dirompenti, all’alba della parziale conclusione del lockdown, all’alba della c.d. fase 2 italiana.
In questo susseguirsi di regole, leggi, opinioni sterili, rabbiose ed ancor più rumorose del
solito, soprattutto se messe a confronto col sommesso silenzio del mondo esterno, non può non essere
chiaro il significato di ciò che ci sta accadendo.
È un deciso invito a fermarci da parte del nostro ecosistema.
Ed è, soprattutto, a chiare lettere, un invito a leggerci ed interpretarci come ecosistema.
Io ascolto, nitidamente, questo messaggio.
Come madre, come essere umano, sento, palesemente, questa responsabilità (con stupore trovo sia più diffusa e percepibile in altre specie).
Siamo ormai interconnessi, ma non usiamo in maniera produttiva questa nostra “unica in quanto unita” intelligenza.
Noi tutti conosciamo, poiché in quest’era fortunatamente abbiamo accesso ad ogni informazione,
l’Uomo Vitruviano…
Ed, ancora, abbiamo imparato a cogliere le analogie tra
il nostro pianeta e l’atomo, tra l’atomo ed il sistema solare, ma ancora tardiamo a sentirci un’unica
entità, un ecosistema, per l’appunto.
Come elettroni impazziti, tardiamo a trovare una direzione virtuosa e naturale in questo mondo
che non riesce a smaltire più le proprie tossine, non riesce più a scegliere liberamente.
Già, perché siamo ancora liberi di scegliere se salvaguardare la nostra realtà o tenerci il nostro assurdo Truman show.
Potremmo, forse, adesso da fermi, essere ancora in tempo per scegliere di voler tendere
ad un’età dell’oro degna del migliore Esiodo, semplicemente collaborando
(qualcuno, forse ottimisticamente, ci suggeriva che ciò che è razionale è reale).
Perché ora è una necessità improrogabile.
Ribellandoci, ma con passione costruttiva, riappropriandoci della nostra Terra, amando la nostra natura
(come qualche bravo scandinavo insegna), diventando così consapevoli nelle nostre piccole scelte quotidiane.
Lavorando (finalmente il lavoro non mancherà) per riparare agli errori di un paio di secoli, come se
dovessimo guarire da una serie di virus; anziché procedere, come un gregge bendato, verso un
insensato teatrino fatto di consumismo, spazzatura, malattie, plastica, denaro ormai sempre più astratto.
E gia’, perché, come qualche illuminato pensatore tedesco aveva intuito, probabilmente
non siamo capaci di godere della felicità umana nel concreto.
Se non ci risvegliamo immediatamente da tale torpore, grazie a questa obbligata e sofferta pausa di riflessione,
purtroppo dovremo fare i conti,
molto realisticamente e senza troppa finzione, con tutto ciò che abbiamo nascosto sotto il nostro tappeto.

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